On the road tra Città e Parchi
Lasciata la Monument con impresso negli occhi i colori e la luce delle sue magiche rocce, con la polvere rossa a ricoprirmi la pelle (adesso capisco perché gli Indiani che abitavano queste zone furono soprannominati “Pellerossa”…), ci troviamo catapultati in un luogo altrettanto suggestivo, l’Arches National Park. Un’area desertica, celebre per i suoi archi naturali di pietra arenaria dipinti da una tavolozza di colori indescrivibile a parole. L’arco più famoso (simbolo non solo del parco, ma dello stesso Stato dello Utah) è il Delicate Arch. Se volete ammirarlo da vicino… gambe in spalla! Il sentiero che conduce all’arco prevede un cammino di circa 2/3 ore (consigliato quindi al mattino o verso il tramonto, per evitare il caldo torrido del giorno). Io ho optato per la soluzione più “comoda”… arrivare in macchina al Delicate Arch Viewpoint e osservarlo da circa un miglio di distanza, godendo appieno di una prospettiva più ampia e altrettanto spettacolare. Il parco è molto vasto, ci sono diversi punti panoramici, quelli per me più suggestivi sono: il Landscape Arch (l’arco più lungo del mondo), il North and South Windows (molto caratteristico, più che 2 finestre a me parevano 2 grossissimi occhi!), il Parade of Elephants (come dice il nome stesso è una formazione rocciosa che evoca una parata di Elefanti) e il Double Arch. Come sempre recandovi prima all’Information Center potrete richiedere informazioni e mappa in Italiano. Alcuni utili consigli… se decidete di percorrere a piedi uno dei tantissimi sentieri usate il buonsenso! Qui le temperature in estate possono raggiungere anche i 45 gradi, quindi portatevi almeno 2 litri d’acqua o bevande energetiche a testa e indossate scarpe adatte ad un’ escursione! (ho visto persone “ciabattare” in infradito e crocs…).
Consiglio goloso… se per raggiungere l’Arches National Park percorrete la Highway 191 fermatevi a mangiare un ottimo hamburgher da Denny’s, tipica tavola calda americana con atmosfera alla Happy Days, dove si può decidere di pranzare al bancone con le cameriere vestite in divisa (con grembiule e cappellino d’ordinanza!) che passano in continuazione a riempirti l’enorme tazza di caffè. Favoloso! La zona di Moab (dove abbiamo soggiornato per più di una notte) è un ottimo punto di partenza per visitare i vari parchi nelle vicinanze. Il giorno seguente, infatti, lo dedichiamo a Canyonlands, un “paese” di rocce scolpite. Chiamato così dall’erosione del fiume Colorado e del suo affluente Green, questo immenso parco si suddivide a sua volta in 3 regioni: a Nord troviamo Island in the Sky (L’Isola nel Cielo), ad Ovest The Maze (il Labirinto) ed ad Est The Needles (Gli Aghi). Data la vastità del territorio noi abbiamo visitato solo Island in the Sky dove, approfittando delle lunghe e desertiche strade americane, ho provato per la prima volta l’ebbrezza della guida con cambio automatico! Il parco si esplora tra picchi altissimi, città indiane fantasma, strapiombi, gole impervie e vasti altipiani che offrono viste mozzafiato.
Il punto più caratteristico è il Dead Horse Point State Park (classificato come parco, ma ubicato all’interno di Canyonlands) dove il fiume Colorado compie una strettissima deviazione a U, creando un paesaggio da cartolina. Il nome di questo parco mi ha molto colpita, in quanto letteralmente significa “Il luogo dove morirono i cavalli”. Narra la leggenda che un tempo un branco di cavalli di razza mustang abitasse un queste zone, in totale e selvaggia libertà. Alcuni cowboy videro questi splendidi animali e si lanciarono al loro inseguimento per poterli catturare. I mustang, nella loro fuga disperata, decisero di buttarsi giù dallo strapiombo, piuttosto che farsi imbrigliare dai cowboy. Sempre in questa zona sono state girate molte scene di film, non solo western. Una delle più conosciute è il famoso “salto nel vuoto” della scena finale di Thelma e Louise, dove le 2 protagoniste si gettano con l’auto giù dal burrone. Per raggiungere precisamente quel punto, sul Shafer Overlook, bisogna essere muniti di un fuoristrada in quanto la strada non è praticabile con una normale vettura. L’ingresso al Dead Horse Point State Park non rientra nell’Annual Park Pass, quindi si paga un ingresso (a vettura). Lasciata l’immensità di Canyonlands si parte in direzione del Bryce National Park, situato nel Sud dello Utah, dove siamo riusciti a scorgere anche un paio di coyote e l’antilocapra americana. Finalmente un pò di refrigerio… siamo infatti a quasi 2.000 metri di altezza! Questo magnifico parco è rinomato per le strabilianti forme delle sue rocce colorate, che virano dal rosso fuoco al giallo fino ad arrivare al bianco latte, scolpite dall’erosione degli elementi in pilastri chiamati “hoodoos” (per i più romantici “camini delle fate”). A me invece hanno riportato alla mente i giochi che facevo da bambina al mare, quando lasciavo cadere tra le dita la sabbia bagnata, formando torrette dalle forme più disparate! Il Bryce offre diversi punti per ammirare il paesaggio, percorribili anche in auto. Quelli che a parer mio meritano una visita sono il Rainbow Point (l’ultimo punto, per arrivarci in auto ci vuole circa un’ oretta e mezza) il Sunset e il Sunrise Point (all’alba e al tramonto), il Bryce Point, l’Inspiration Point e il Yovimpa Point da dove è possibile vedere l’Arizona e alcune volte persino il New Mexico. Ho avuto la fortuna di alloggiare al Best Western’s Ruby’s Inn, appena fuori dal parco, dove di fronte all’hotel si trova l’ “Old Bryce Village”, un villaggio, ricostruito, del vecchio West con tanto di negozietti caratteristici dove fare incetta di gadgets e souvenir (calamite e addobbi natalizi per me!) e un recinto per il rodeo.
Per la cena fate un salto a Panguitch (a circa una mezz’oretta di auto dall’hotel) dove si trova il “Cowboy Smoke House”, in puro stile western, dove potrete gustarvi una gustosissima T-Bone e una cheesecake da farvi leccare i baffi!
Con il tramonto a infiammare le rocce del Bryce Canyon si conclude la seconda parte del mio viaggio… ho ancora tante cose da raccontare… a presto!